Il monumento: espressione di
dominio e potenza, o rappresentazione di un’idea, quindi simbolo?
Il movimento modernista non
aveva dubbi, rifiutava l’architettura dei simboli perché schiava di
ostentazione di potenza, rincorreva invece la funzione dell’opera, la quale
funzione rendeva l’opera perfetta, tale da poter essere definita architettura.
L’articolo del professor
Antonino Saggio “La via dei simboli” riporta il caso di Terragni come l’eccezione,
uno dei pochi che riconosceva la possibilità di “dare un’aura monumentale e simbolica a un edificio senza ricorrere allo
strumento del passato ma attraverso un’ibridazione pericolosa quanto magistrale”.
La ricerca dell’eccezione
impone la citazione dell’opera di Aldo Rossi, il quale nell’“Architettura
della città” descrive la genesi del sistema urbano e del rapporto di questa con
gli interventi architettonici, i
cosiddetti fatti urbani, i quali devono relazionarsi con il sistema, ma devono
imporsi nella loro forma, nel disegno e non esistere in nome della loro
funzione: “la domanda –A cosa servono?-
finisce per dar luogo a una semplice giustificazione bloccando un’analisi del
reale”.
La via a cui fa riferimento il titolo dell’articolo citato è quella
che porta dall’Opera House di Sidney di J. Utzon, il primo simbolo dell’architettura
moderna, che rompe le catene del funzionalismo plasmatore della forma, al nuovo
monumentalismo di Gehry, l’architettura espressione di un fatto civico e
collettivo.
Tuttavia l’articolo si
conclude con l’accenno a numerose altre vie
che possono descrivere l’evoluzione dell’opera architettonica che si fa epifania di sentimenti, di cronaca,
di valori storici, culturali, vessillo di popoli, di religioni…
Il nuovo millennio impone la
necessità di analizzare un campione più ampio, l’architettura contemporanea
risponde a committenze oggi più che mai eterogenee. Il fronte orientale chiama
l’esercito delle Archistar a
confrontarsi con esigenze diverse, dettate da culture radicalmente differenti, e
che spesso fanno attrito con la linea occidentale, o forse ne esaltano le
sfumature, portandole all’eccesso.
Monumento metafora o
espressione di potenza? Lo scenario
degli Emirati Arabi suggerisce una terza possibilità. Città come Dubai, Abu Dhabi sono oggi il risultato della volontà di mostrare la ricchezza, ed il
dominio dei padroni dell’oriente che ostentano “minacciosamente” il loro potere
al mondo occidentale, con le loro architetture da guinness. Ma allora, l’architettura
intesa come misura di potenza è davvero un fatto del passato, legato all’immagine
dell’imperatore romano, o del dittatore del 900? Eppure certamente la “Vela” di
Dubai, il circuito Yas Marina di Abu Dhabi sono l’esplicitazione chiara di un’architettura
metaforica di chiave contemporanea…
Quindi allora tale confusione
impone l’esigenza di “enciclopedizzare” una terza specie: l’architettura
contemporanea simbolica che funge da celebrazione di potenza, in barba alle
teorie del Modernismo del dopoguerra…
Ilaria Ferrazzilli